Francesco Paolo Michetti (Tocco di Casauria 1851 – Francavilla al Mare 1929)

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Francesco Paolo Michetti

Dati biografici sull'artista

Celebre pittore abruzzese, nacque a Tocco da Casauria (provincia di Chieti), il 2 ottobre 1851.

Diamo qui le principali notizie dei suoi lavori, che abbiamo compilato da quanto intorno a lui hanno scritto alcuni suoi biografi.

Appena con la mente infantile potè conoscere che c'era un'arte che si chiamava pittura, e che riproduceva uomini e cose per mezzo dei colori, il Michetti se ne innamorò, e volle fare il pittore; e così vivi erano i lampi del suo talento artistico, che i suoi compaesani più distinti vedevano nel giovinetto i primi bagliori di un'artista eccezionale.

E non sbagliavano.

Nel 1868 il Michetti; grazie a una pensione della provincia di Chieti, si portò a studiare all'Accademia di Napoli.

La vecchia Accademia, quasi in segno di protesta contro i sistemi di insegnamento fin allora prevalsi, non si chiamava più col nome antiquato ed antipatico di Accademia, ma era diventata «Istituto:» nè solo il nome aver mutato, ma lo spirito artistico che l'animava.

Palizzi e Morelli, che ne erano alla testa, vi aveano introdotte molte riforme, iniziando la scuola moderna; scuola che ebbe poi tanti valenti campioni nella Promotrice.

Ma Paolo Michetti, con un fare tutto proprio, si chiariva fin dal principio più avanzato de' suoi professori e de' suoi condiscepoli: fra i progressisti era un rivoluzionario.

Intorno al di lui nome sconosciuto si fece da prima gran chiasso a Napoli, nel 1877, colla sua "Processione del Corpus Domini a Chieti", quadro che esaltato da alcuni come il migliore della Mostra, fu da altri buttato a terra colle critiche più acerbe.

Era una tela luminosa dall'impressione abbagliante: una festa di colori vivaci sprigionatasi dalla fantasia di un artista poeta, una accolta di quanto v'è di più bello.

Figure ridenti e passionate di donne, di fanciulle, di bambini, affollate, aggruppate, strette le une alle altre, alle quali il pittore aveva dato quanto di grazia e di leggiadria possedeva la sua tavolozza, profondendo loro intorno stoffe e piogge di fiori e uno scintillìo d'ori e di colori finchè la tela ne fosse riempita.

Davanti a tanta giovinezza, tanto brio, tanta potenza, s'avrebbe voluto notare i difetti del disegno e del colorito e si finiva per ammirare.

L'anno dopo, a Parigi, ugualmente attirava gli sguardi di tutti la sua "Primavera dell'amore": una spiaggia piena di sole, dinanzi ad un mare scintillante ed un cielo di purissimo azzurro.

Sullo sfondo spiccavano le tinte vivaci degli alberi in fiore, carichi di bambini aggruppati in pose strane e svariate, per terra un intrecciamento di donne e d'altri bambini, belli come gli amori, allegri, ridenti, compiacentisi nel godimento di quella vita materiale.

La cornice di terra cotta continuava, completava la concezione dell'artista: il tema si ripeteva negli strani abbracciamenti di rospi, di uccelli, di serpi in amore.

Alla Esposizione Nazionale del 1880 a Torino, dove la nuova Arte italiana si presentò in tutta la freschezza e la esuberanza di una giovinezza rigogliosa e turbolenta, il Michetti espose diversi quadri: "Domenica delle Palme", le "Pescatrici di tondine", i "Morticelli", intorno ai quali nuovamente si accesero le dispute più vivaci.

A chi pareva che il successo di Napoli avesse inebriato la mente del giovane artista e deplorava amaramente che traviato nella ricerca dello strano e dello inverosimile, fosse naufragato nell'indecifrabile, mentre altri proclamava che in quelle tele appunto si affermava in modo indiscutibile la sua fama.

Certo quelle sue opere ebbero un successo maggiore di quel che meritassero.

Da ogni parte si esagerava, e veramente il Michetti si abbandonava ai propri difetti, lasciandosi trasportare dalla sua foga di colorista in uno sfoggio che rasentava spesso il barocco, tanto da parere che talora l'ebbrezza della sua tavolozza sconvolgesse il criterio dell'artista.

Ma accanto a questi difetti si rivelavano qualità più positive: il sentimento e la poesia del vero, a differenza di moltissimi altri, anche fra i buoni, i quali non vedono che dietro un dato indirizzo d'arte, dietro la scuola cui sono affigliati.

Michetti aveva dipinto come aveva visto, e la impressione, che aveva vibrato nella sua anima d'artista, era passata intieramente e con uguale intensità nelle sue tele.

Così in quelle sue "Pescatrici di tondine", erano povere donne non belle e poveramente vestite dei loro cenci, dinanzi a un mare tranquillo, ed il pittore non s'era preoccupato della ricerca di un effetto strano; non aveva fatto la natura più bella che non l'avesse vista, ma aveva riprodotto rapidamente con semplicità la scena, che aveva sott'occhi, ripetendo sulla tela tutta la potenza della impressione provata.

A Milano, alla Mostra di Belle Arti del 1881, nel palazzo del Senato, occupava da solo due pareti di una sala con trentaquattro dipinti, che non portavano altra designazione all'infuori di questa: "Studi a tempera".

Erano studi di teste, bozzetti arguti e vivaci della vita campagnola, pieni di sentimento, di grazia, di verità, vedute di mare azzurro, solcate da file di paranzelle dalle vele gialle... una fantasmagoria di forma e di colore, che rivelava tutta la fecondità e la bizzarria dell'artista, il quale con la velocità meravigliosa della mano aveva riprodotto tutto quanto di bello gli si era presentato alla vista nei vari aspetti del vero.

Sin qui l'arte del Michetti poteva essere soltanto considerata come la espressione di una indole semplicemente pittorica, le sue facoltà intellettuali parendo concentrate negli occhi; ma l'ultimo suo quadro intitolato il "Voto", completava l'eccellenza dell'artista con un'opera nella quale alla novità della forma si univa la massima novità del pensiero.

Il "Voto" rappresenta un sacro rito nell'interno di una chiesa, in uno di quei paesi dell'Italia meridionale, dove la superstizione religiosa manda ancora barlumi di delirio.

Sono contadini che strisciano carponi sul pavimento della chiesa, e fregandovi la lingua vanno ad abbracciare e a baciare un reliquiario di argento posato a terra: uomini e donne che si trascinano faticosamente a quel modo, stando sul davanti: il fondo del quadro e tutto coperto di devoti, che assistono a quella strana ginnastica, coi ceri in mano.

Le lingue lasciano traccie di sangue sul pavimento e sul reliquiario.

Tutta la scena è azione, è vita senza nulla di convenzionale e di accademico.

Guardando questo dipinto, si scorge al tempo stesso l'apoteosi della fede e la punta dell'epigramma contro la superstizione.

Le figure di quei villani che strisciano, sono il 'non plus ultra' del verismo; nello slancio di quel vecchio contadino, che è arrivato al reliquiario e lo abbraccia, c'è un trasporto di fede selvaggia; in quel villano corpulento, che viene dopo, si scorge la tensione di muscoli sentita e forte.

La altre figure, comprese quelle moltissime del fondo, sono una varietà di caratteri e di tipi dominati da un profondo sentimento religioso.

Il colorito è largo, gettato a fiotti crostosi; in alcuni punti sembra messo colla cazzuola.

Il "Voto" fu acquistato dal governo per cinquantamila Lire, e fa parte della Galleria Nazionale d'Arte moderna.

Dopo quel quadro il Michetti non ha fatto più lavori di gran mole, ma anche i suoi studi esposti in seguito, conservano sempre l'impronta potente del genio di questo artista, che alcuni, con frase di ardente ammirazione chiamarono un tempo pittore fenomeno.

 

 

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