Bruno Croatto (Trieste 1874 - Roma 1948)

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bruno croatto

Bruno Croatto

Dati biografici sull'artista

Un artista magnifico: pittore e acquafortista.

Non sono certamente io che posso avere la pretesa di «scoprire» Bruno Croatto ai triestini.

Essi lo conoscono troppo bene, lo amano profondamente è il loro «enfant gaté», ed io, che ho passato molte ore deliziose nel suo studio, fra mezzo alle pi squisite ferme della sua arte luminosa, cercherò soltanto di dimostrare ai miei lettori la mia ammirazione per questo pittore così vivo, così fattivo, così creativo, così multiforme.

Il suo studio è già, di per sè stesso, un «milieu» d'arte di tutta la più strana e più originale arte dell'estremo oriente, dai tappeti che coprono il pavimento, dai vasi che animano i tavoli, ai gingilli che popolano le scansie, ai quadri e alle stampe che occhieggiano un po' da per tutto.

Sembra d'essere in Giappone o in Cina e se non fossero i suoi lavori e se non fosse la presenza di quest'uomo tutto nervi e tutta «verve» - dall'aspetto un pochino giapponese perchè glabro ed asciutto - l'illusione sarebbe completa.

Una conversazione d'arte con Bruno Croatto è un raro godimento dello spirito: egli parla con vivacità, con un'inquietudine spirituale intensa, con una sincerità netta, precisa, scultorea.

Quello che dice lo rappresenta con un'esattezza sorprendente, con poche parole, con qualche tratto breve della sua frase tacitiana, proprio cortese fossero altrettanti tocchi del suo pennello.

Come egli dipinge, così egli parla: con sincerità di colore, con rapidità di tocco.

Ed io ho compreso la sua arte - l'essenza di questa, sua arte - guardando i suoi lavori commentati dalla sua parola e dal suo gesto.

Per lui è completamente indifferente il dover dipingere un fiore, una nuvola, un frutto, un corpo: tutto l'universo, per lui, non è che un insieme di macchie di colore.

Se sceglie un fiore più tosto che un frutto non è per l'oggetto, è solo perchè ritrova, in quello che ha scelto, una certa armonia di colore che gli fa piacere.

Anche nell'acquaforte - dove egli è maestro - è, sopratutto, l'impressione pittorica che domina: s'egli dovesse far l'acquaforte basata soltanto sul segno e sulla linea non saprebbe come cavarsela.

E' un temperamento pittorico per eccellenza.

Anche con un po' di carbone o di creta bianca egli cerca sempre e soltanto l'effetto del colore.

Il disegno, nel senso scolastico, accademico, classico, il disegno dei contorni per lui non esiste: anzi, in alcuni meraviglioso disegni, è completamente abolito: non v'è che l'effetto del colore - del bianco e del nero - che supplisce al contorno, che rende la plastica di un corpo umano, la sinuosità di un'anca o di una curva qualunque: lo spirito stesso del movimento interpretato e reso non dal disegno ma dall'effetto del colore - più che della luce.

Sembrerebbe un paradosso; ma guardate i suoi disegni e tutti i suoi quadri e in ognuno troverete questa ricerca, naturale, appassionata che è il bisogno stesso della sua anima, che è l'espressione necessaria d'ogni suo concepimento artistico.

E del resto questo suo concetto corrisponde perfettamente al canone pittorico: che la pittura deve, in fondo, dare l'illusione di quello che non è, deve esser fatta con pochi mezzi e risultare come non fatta di pochi mezzi.

Velasquez lo ha dimostrato e pare che Bruno Croatto, innamorato, segua il maestro di Spagna.

Quel quadro di Velasquez: «Innocenzo X» della «Galleria Doria» a Roma è un ritratto meraviglioso: dovunque voi vi mettiate, gli occhi del papa vi guardano, vi fissano, vi scrutano: sembra un ritratto finito meticolosamente: guardatelo bene da vicino e vi accorgerete invece ch'esso è fatto di sette od otto pennellate di colore.

Tutto l'effetto è dovuto, appunto, al giuoco del colore.

E pare che Croatto tenda ad arrivare a questo: semplicità di fattura, spontaneità più apparente che reale.

In fondo costan più fatica questi lavori che quelli in cui l'artefice non vuol nascondere l'artificio.

Bruno Croatto ha dipinto molti fiori: forse null'altro in natura gli dà quell'armonia di colore di cui la sua anima squisita è innamorata; forse l'armonia d'un giallo e verde, d'un bianco e verde, così, la potrebbe solo ottenere mettendo insieme delle

stoffe!

Ma nè meno.

Tuttavia - come ho detto dianzi - non dipinge i fiori per il gusto di fare un fiore: il colore, il colore: ecco l'eterna maga incantatrice dei suoi occhi e della sua mano.

Ci sono - nel suo studio - alcuni studi di natura morta che destano la più viva

ammirazione: un mazzo di pere vicino ad una ciotola di vetro rosso: ed egli ha fatto questo quadro soltanto per ottenere l'effetto del rapporto fra il bianco della tovaglia e il lustro del vetro che è di un tono ancora più alto, ancora più chiaro.

Ma del resto non è soltanto nei fiori in cui egli raggiunge la perfezione di questi contrasto, e di queste spiritualità coloristiche.

Ci sono due quadri di donna - la sua signora, Igea, è la divina ispiratrice d'ogni sua figura femminile, è la più intensa collaboratrice della sua spiritualità - in cui io credo ch'egli abbia raggiunto il massimo della sua arte pittorica.

In uno - che rappresenta la signora Igea, ravvolta in uno scialle verde, che suona il violoncello - c'è tutto lo studio raffinato di questa espressione coloristica per cui bisogna saper ridare il colore non solo nella sua violenza, ma sopratutto nella sua armonia.

Per questo Silvio Benco scriveva, tempo fa, in una nota critica: «... vasta e riposante armonia generale, dove nulla fa macchia, dove tutto subisce la regola della stessa visività perfettamente intonata.

La pittura di Bruno Croatto non ha violenze, non ha ardimenti.

Li ha avuti.

Li ha risolti.

Li ha superati.

E quello che n'è rimasto è una tranquilla maestria, una padronanza sorprendente dei mezzi e dei procedimenti dell'arte, che permette al Croatto di affrontare con la stessa sicurezza dell'occhio e speditezza della mano i più vari problemi che egli si pone.»

E, infatti, il Croatto stesso, parlandomi, diceva che qualunque cosa egli consideri dal lato pittorico, deve considerarla tanto sotto l'aspetto della violenza quanto sotto quello della delicatezza.

Una mano, ad esempio: violenza di luci e di ombre, forza di modellazione da far disperare l'artista più sintetico.

E anche: piccoli deliziosi passaggi dí tanta dolcezza e di tanta armonia da far disperare l'artista più analitico.

E Bruno Croatto esprimeva, con questo, una grande verità estetica, perché la mano sopratutto la mano femminile è il punto ove si ritrova tutta la callestenia della donna, tanto che a volte, non è la pura bellezza d'un viso che colpisce, ma quella d'una mano bianca, molle, modellata, appunto, di luci e di ombre e di carezze.

E Croatto, cerca di rendere quanto più può la violenza che riscontra in natura e che «il buon Dio» fa con un raggio di sole, e di temperarla, però, sempre con un'armonia basata sul colore.

Non bisogna, tuttavia, essere unilaterali e contentare di uno di questi due aspetti della natura: chi si basa sulla violenza riesce rozzo, chi si basa sulla delicatezza riesce molle.

Bruno Croatto, con la temperanza, ha superato i due aspetti per giungere alla maestria e alla padronanza.

Egli è forte non come il lottatore che mostra i muscoli, ma come l'uomo robusto che non li ostenta.

Tutto, nella sua pittura, è fatto in una volta.

Egli deve rappresentare subito l'impressione dell'occhio e dell'anima perchè domani, non è più sicuro di «essere ancora lui».

Quel verde, domani, lo può, forse, vedere in altro modo e allora il quadro s'impasticcia.

Ma per riuscire in due ore bisogna aver lavorato nella vita, molto: è l'effetto di una grande esperienza e di una sicurezza formidabile di lavoro.

Mentre invece nell'acquaforte questa esecuzione rapida non è possibile: lo stesso procedimento la impedisce.

L'acquaforte non è fatta per contatto diretto con la natura, ma è la traduzione di un'impressione basata su appunti e studi precedentemente fatti dal vero: è, quindi, lavoro di fantasia e di memoria su quattro linee tracciate così tanto per serbare il ricordo dell'impressione.

Le prime acqueforti di Bruno Croatto sono del 1909 - egli ha cominciato relativamente tardi questo particolar genere di lavoro - e traggono la prima ispirazione da Orvieto, dove visse, lavorando, per due anni.

L'aspetto di questa triste cittadina medioevale non gli parve adatto nè per la pittura nè per il disegno: fra quel tufo omogeneo e monotono non si raccapezzava più.

A un tratto ebbe un'idea come un lampo: riprodurre quello che gli stava intorno con l'acquaforte di cui, fino allora, non aveva avuto la più lontana conoscenza.

Scappò a Roma: ad un tavolino del caffè Aragno, si fece, in quattro parole, spiegare il procedimento tecnico dell'acquaforte da un amico, comprò i «ferri del mestiere» e tornò ad Orvieto.

E lavorò, perfezionandosi, aggiungendo subito, fin dalle prime lastre, qualche suo procedimento personale che migliorasse il lavoro.

Poi seguitò a far l'acquaforte a sbalzi, lavorando per lunghi periodi e per altri lunghi periodi trascurandola quasi interamente.

Oggi Bruno Croatto - dopo 200 lastre - è un maestro dell'acquaforte.

Coll'acquatinta pura egli rende la costruzione delle cose, l'evanescenza quasi crepuscolare dell'ora e del tempo - come i suoi palazzi veneziani -; coll'acquaforte a procedimento classico rende più vivamente la costruzione essenziale degli oggetti con tutte le loro particolarità e le loro accidentalità.

Poi, con un suo sistema personale, ottiene nell'acquaforte una pastosità quasi pittorica, specialmente nelle parti chiare.

Oggi Bruno Croatto - dopo 200 lastre - è arrivato ad un punto di perfezione tecnica che gli permette di affrontare sicuramente la lastra a grandi dimensioni.

Ed egli è anche un abilissimo stampatore delle sue acqueforti.

Bisogna vederlo nel laboratorio, intorno al suo torchio, intento alla riproduzione!

La lastra non è scopo a sè stessa, ma è soltanto un mezzo per ottenere il foglio stampato: ed allora Bruno Croatto stampa a caldo o a freddo, con inchiostro denso o con inchiostro liquido, o chiaro o scuro, o scorrevole o vischioso, su carte incollate o senza colla: e il risultato può essere talmente diverso da aggiungere bellezza alla stampa o da distruggere a dirittura tutto ciò che c'è di buono sulla lastra.

La sua lunga esperienza gli ha sviluppato un discernimento rapido, sicuro, da premettergli di stampare nel modo più adatto le più differenti acqueforti.

Bruno Croatto, da bimbo, non ha mai voluto studiare..

Fu a Monaco, all'Accademia di belle arti a imparare il disegno con Aschbe e Hackl, ma la pittura non li fu insegnato da nessuno: il suo intuito, il suo talento, la sua percezione rapida e vasta sono stati i suoi più veri e migliori maestri.

Poi ha vissuto lungamente in Italia: a Venezia, a Roma, a Napoli, rimanendo lontano da Trieste anche per dieci anni interi.

Scoppiata la guerra si salvò dal servire l'Austria facendosi rinchiudere al manicomio: pretendeva che la luna avesse un colore troppo carico: era necessario blandirlo un po': bastava mescolare a quel giallo un po' di turchino!

Oggi ha ancora, forse, quella medesima idea: la violenza del colore bisogna blandirla, bisogna armonizzarla: ma non è più un'idea da pazzo: è una idea che ha fatto un maestro.

(Fonte Dizionario Sibilia)

 

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