Alberto Pasini (Busseto 1862 - Cavoretto 1899)

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alberto pasini pittore

Alberto Pasini


Valutazione dipinti Alberto Pasini

Le quotazioni delle tele o tavolette del periodo francese o del primo periodo orientale vanno in media dai 10.000 euro ai 20.000 euro, le valutazioni per i suoi dipinti del periodo orientalista sono dai 15.000 euro ai 30.000 euro per le opere di piccole dimensioni e dai 40.000 euro ai 100.000 euro per le opere di dimensioni medie o grandi a seconda della vivacità delle figure e dei valori cromatici. Le opere più tarde vanno in media dai 8.000 euro ai 20.000 euro. I capolavori possono superare i 300.000 euro.


Una valutazione è condizionata  dalla conservazione, dalla qualità, dal periodo, dalla dimensione dell’opera e da altri fattori per cui si prega di contattare la Galleria Berardi per ricevere una stima corretta.

Dati biografici sull'artista

Nella Gazzette des Beaux Arts nel 1881, il Buisson, dopo aver parlato di un altro orientalista, il Benjamin Constant, così dice: «que ce peintre (Constant) regarde seulement la Mosquée de M. Pasini et il se convaincra qu'il n a plus rien à exprimer dans cette voie et dans ces gammes; l'extraordinaire pénétration d'un oeil de coloriste et l'extraordinaire précision d'une main d'aciet ont équisé les données sur lesquelles il tenterait en vain de sexercer encore avec profit».Pasini orientalista è pochissimo conosciuto in Itali perché quadri suoi non figurano mai nelle nostre esposizioni e dallo studio dell'artista o del suo negoziante, il Goupil, presero direttamente il volo per altre nazioni.

Egli dipinse l'Oriente per oltre trent'anni: la Persia, la Siria, la Palestina, l'Asia minore, la Turchia d'Europa.

Lo dipinse sotto ogni aspetto ed in tutti i momenti più caratteristici di quei paesi, dove la natura, l'arte, le istituzioni, i costumi, le abitudini tutto concorre a produrre il pittoresco al più elevato grado.

Ora è una porta di Moschea coi suoi dipinti ornati di quadrelle in ceramica ed il suo tettuccio di tegole smaltate che proiettano un'ombra decisa e trasparente e cavalli che stazionano sul limitare; ora è un bazar con l'andirivieni di folla variopinta, o un mercato a Costantinopoli, coi grandi platani, gli stormi di colombi grigi ed un carnevale di donne sotto l'haik e sotto il féridié dai colori brillanti, di rivenditori ambulanti, di Giudei, Turchi, Bulgari, Circassi, Georgiani, Greci, Persiani, Armeni ecc. tutta quella gente che par si agiti e muova; poi la stessa folla sarà in un porto o sulla riva del Bosforo, irto il fondo

di antenne e di vele e fumajuoli in attività.

Di là ad un tratto egli ci trasporta nel misterioso e recondito giardino di un harem, dove donne velate passeggiano nella penombra trasparente d'una juka

o presso una fontana.

Altrove ci fa assistere a scene selvagge, fantasie arabe, finte battaglie vere, cavalieri schierati su una linea lunghissima lanciati a gran carriera che si scontrano o si rincorrono in una nuvola di fumo e di polvere; altrove sono scaramucce di guerrieri di due tribù, o predoni che attaccano un villaggio posto sopra un'altura; ed allora cavalli che scendono a precipizio per la china o che s'arrampicano di corsa per l'erta, montati da cavalieri seminudi o vestiti di panni a colori brillanti in azioni slanciate, che scambiano fucilate; e tutto ciò sempre in mezzo al fumo ed alla polvere mentre il sole sferza o l'uragano imperversa.

Poi ci addentriamo in una vasta e profonda gola in fondo alla quale in un ombra piena di riflessi serpeggia la lunga linea di una carovana con cavalli, cammelli, pedoni, mentre sulla vetta splende il sole; quindi usciamo all'aperto e le montagne appaiono nel fondo mentre la carovana sosta e bivacca; in un altro quadro siamo trasportati nella pianura ubertosa e vastissima ove pascolano i cavalli; in un altro troviamo la brughiera e caccie col falco; poi viene il deserto ed ancora la lunga carovana o il corriere sul cammello che compio il suo veloce e lungo cammino sotto il sole o nel crepuscolo od al chiaro di luna; e rientriamo ancora nei grandi centri.

Ed eccoci nel cortile d'un edificio bizantino su cui è innestata la linea araba che lo ridusse a caserma; li saranno i preparativi di partenza delle truppe: fanti, cavalli, artiglieria; altrove le truppe sono schierate in attesa della rivista o facendo ala al sovrano che visita una moschea.

La scena cambia nuovamente.

Ecco le acque dolci d'Europa coi villeggianti orientali negli Arabas e nella pompa dei loro smaglianti costumi, fra una vegetazione grandiosa con un cielo purissimo in un ambiente di gaiezza e di felicità.

Ecco la religione mussulmana coi suoi riti e coi suoi misteri quando il pittore c schiude la porta alle moschee o ci mostra sul limitare il fantastico estatico e seminudo.....

 

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Pare una descrizione fantastica; eppure io non parlo che di una parte dell'opera di Pasini, di quel poco che io ho potuto vedere ed in parte anche attraverso alla fotografia.

Ma ciò che non posso descrivere è il modo con cui questi soggetti sono trattati; è la coscienziosa ed intelligente cura con cui tutto è dipinto senza sforzo apparente, come frutto di istantanea, in un epoca in cui di istantanee ancora non si parlava; è l'equilibrio perfetto della composizione, la varietà massima e l'assoluta unità che domina il quadro, quella esecuzione diligente con cui sono condotti tutti i particolari per restando la massima larghezza di esecuzione.

Il riguardante prova davanti a queste tele la soddisfazione piena e completa che deriva da una simpatica e seducente armonia di colore e di linea, dall'assenza di quanto urta e non si spiega; vi colpisce l'insieme e continua il vostro godimento nell'analisi dei particolari e della semplicità della tecnica.

Noi vediamo qui raccolto poco più che degli studi, di quel materiale non destinato al commercio, rimasto per tutta la sua vita addensato sulle pareti del suo studio, suppellettile artistica a servizio della sua memoria e della sua immaginazione.

Oltre agli studi egli possedeva numerosi albums racchiudenti disegni di insieme e particolari di figure, animali ecc., segnati rapidamente cogliendo sull'atto le azioni ed i movimenti più espressivi e caratteristici.

Il quadro nasce dalla fantasia dell'artista come risultato di una espressione sintetica, maturato nella considerazione comprensiva e generica del vero, estrinsecata poi tradotta con l'appoggio di documenti irrefragabili che gli ridestano la memoria del motivo, della macchia, dell'ambiente e del particolare delle sue esposizioni.

Epperò il quadro diventa qualche cosa di concentrato, sostanzioso, completo.

 

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Il naturale talento fu sorretto sempre da una fede, una costanza, una energia indefettibili.

Dalla sua carriera potrei descrivere un volume ricordando egli in confidente espansione, mi sminuzzava nella più divertente forma sulle peripezie attraversate, sugli infiniti aneddoti della sua vita avventurosa.

Si portò a Parigi nel 1851 ed il colpo di stato del 2 Dicembre lo ricevette al suo giungere.

Entrò nello studio del Ciceri Eugenio figlio del famoso scenografo siciliano e là rimase per quasi due anni ed alla eccellente istruzione artistica che vi trovò, si aggiunse quella che veniva dalla quotidiana convivenza con artisti di vaglia quali Isabey, Teodoro Chaperion i due Rousseau.

Contuttociò, chi sa, di Pasini avrebbe fatto sempre il paesaggio dei dintorni di Parigi se una fortunata combinazione non gli avesse aperta la porta dell'Oriente.

L'occasione prima di andare in Oriente fu fornita nel 1855 dall'ambasciatore Bourèe che invitavalo a far parte della missione francese che partiva per stringere alleanza con la Persia.

In causa dell'occupazione Russa di una parte dell'Armenia, la missione fu obbligata a prendere la strada più lunga, cioè quella del Mar Rosso.

Così il nostro pittore toccò i porti di Gedda, Aden e Mascate, approdò ad Abusceer nel golfo Persico e di là a Chiraz ed Ispaan giunse a Téhéran.

Il soggiorno nella capitale della Persia fu di un anno, trascorso il quale il ritorno in Francia si compiè a lunghe tappe per Teheriz, Erzeroum, Trebisonda e Costantinopoli.

Qualche anno dopo Pasini fece il viaggio di Atene inviatovi dallo stesso Bourée che si trovava come Ministro di Francia e successivamente accompagnò il diplomatico nel 1867-68 per la seconda volta a Costantinopoli dove rimase un anno.

Da quest'ultimo viaggio riportò a Parigi oltre sessanta studi ad olio, innumerevoli disegni ed ordinazioni di quadri (scene locali con episodi moderni) pel Sultano e pel Vicerè d'Egitto.

A Costantinopoli fece ritorno ancora una terza volta nel 1869 e vi rimase alcuni mesi.

Venezia (come la Spagna dove fece una turnée artistica col Gerôme) è entrata nella carriera del Pasini solamente nell'ultima parte della sua vita ed è restata si può dire allo stato di amore.

Egli aveva trovato in questo quieto lembo d'Italia il ricordo del suo Oriente, nell'architettura, nell'atmosfera nel colore e persino (cosa non difficile a spiegarsi colle vicende storiche della gloriosa Repubblica) negli usi e nell'indole del popolo: egli si trovò in Venezia come un riflesso dell'ideale artistico che assorbì la maggiore e la migliore parte della sua esistenza.

Per un decennio egli si è sbocconcellata Venezia con lo stesso amore con cui s'era sbocconcellato l'Oriente: ma la sintesi e la elaborazione che fece per questo fondendone la natura e la vita in un'armonia pittorica, non lo intraprese.

Così per gli studi di Venezia egli fece un'eccezione che non aveva avuto mai e che non ebbero mai quelli d'Oriente, cioè non vendette.

Fu a Parigi verso il 1884, in seguito a pressioni insistenti e lusinghiere e ad offerte di prezzi fuori dell'ordinario di mecenati illustri e facoltosi che accondiscese a separarsi da alcuni di essi.

 

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Nel 1870 trattenutosi in Italia a causa della dolorosa crisi che la Francia attraversava fece acquisto d'una villa sui colli di Torino in posizione amenissima.

Là si fabbricò uno studio, vi dispose i suoi ricordi e per una serie di anni divise il suo tempo fra Parigi e la villa di Torino; dopo l'84 finì per stabilirsi definitivamente in villa non facendo più a Parigi che rapide escursioni.

Allora si compiacque anche a fare il gentiluomo campagnolo ed agli amici che lo visitavano mostrava con orgoglio i prodotti eccezionali del suo orto, della sua vigna, dei suoi campi, della sua stalla, con orgoglio maggiore che non provasse per l'arte sua!

Ma chi era meno entusiasta di questa sua nuova attività poteva vedere che le cure della campagna non lo avevano distratto dalla pittura e trovava nello studio una quantità di quadri d'Oriente preparati o finiti che lo accompagnavano a Parigi od erano regolarmente spediti al Goupil per disperdersi quindi per il mondo.

E nella sua Villa di Cavoretto morì il 15 Dicembre 1899.

Era nato a Busseto il 2 Settembre 1826 ed era stato amico del suo grande conterraneo Giuseppe Verdi.

 

G. Lavini

Tratto da: Le Biennali di Venezia - VIII - Esposizione Internazionale d'arte della Città di Venezia

 

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